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Antonio Conte si apre in un’intervista al Corriere della Sera, dove ripercorre la sua infanzia tra le strade della sua città natale, Lecce. Radici profonde, che l'attuale campione d'Italia ha recentemente definito un punto fermo della sua identità, raccontandole con intensità in una lunga conversazione. La sua storia è ora raccontata nell’autobiografia Dare tutto, chiedere tutto (Mondadori), da poco in libreria.

Dopo l’esordio in Serie A con il Lecce, ha legato gran parte della carriera da calciatore alla Juventus, dove ha giocato per 13 stagioni vincendo 5 scudetti e non solo. Ecco un estratto delle sue parole sulla sua infanzia e sul suo debutto con la maglia dei bianconeri.

Conte Napoli allenamento

Sull'infanzia

Sono cresciuto in strada a Lecce, e lì devi imparare a cavartela, ad affrontare le situazioni. I miei genitori mi hanno insegnato che se vuoi chiedere, prima devi dare

Sulla prima da titolare a Montecarlo con la Juventus

Andò che alla prima partita da titolare con la Juve mi ritrovai sulla prima pagina di un giornale nazionale con il titolo Nel Principato sbaglia il Conte. Era la mia prima vera partita e avevo commesso un gravissimo errore. Iniziai a dubitare sulla mia capacità di poter giocare a questo livello. Pensai anche “ma chi me lo ha fatto fare”. 

A Lecce ero con i miei amici, la mia famiglia, andavo al mare fino a novembre. A Torino ero da solo, avevo 21 anni. Ero con i miei idoli, Schillaci, Tacconi, Baggio, ma all’inizio mi sentivo fuori posto. Se qualcuno mi avesse detto allora quello che avrei vinto in 13 anni avrei pensato: “Sta fuori di testa”. Invece proprio quel retropassaggio così mortificante mi spinse a reagire. Trapattoni, uno tra i più bravi allenatori che ho avuto, mi vide giù e disse: “Non stai mica pensando ancora a ieri”. 

Qualcosa scattò in me. Non volevo tornare a Lecce da sconfitto. Ecco, io penso che l’allenatore, così come fece con me Trapattoni, debba saper arrivare al cuore e alla testa dei calciatori. Le gambe forse sono l’ultima cosa.

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