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Arturo Calabresi, terzino destro del Lecce, ha rilasciato un’intervista al Corriere dello Sport, nella quale ha parlato della stagione appena conclusasi con i giallorossi e della gioia per la promozione ottenuta.

LECCE

“Mi ci ha portato l’istinto. Sapevo che, di rientro da Cagliari, con il Bologna doveva finire. E cosi è stato. Mi ero ripromesso che sarei tornato in Serie A con le mie gambe, conquistandomelo. Ci sono riuscito. E dico che qui ci sono le potenzialità e c’è la piazza per ricostruire l’idea di una squadra virtuosa al Sud. Lecce per il rapporto della gente con il calcio ricorda Roma: dal caffè della mattina senti di essere dentro qualcosa che vive di pallone”.

IL CALCIO 

“Per me è tutto da quando sono piccolo. Crescendo non nego che avrei messo in cantiere tanti progetti extra calcio ma finora non ne ho avuto il tempo: sono stato assorbito dalla mia corsa a gomitate per arrivare. Ho sudato, ma eccomi. E aggiungo che siccome sono sempre abituato a leggere nei miei limiti e nei miei errori per capire dopo poi possono aver sbagliato gli altri, le porte in faccia le ho tutte analizzate a fondo. Ho capito che le porte in faccia fanno parte del gioco. Conta quello che riesci ad ottenere ed io mica sono arrivato eh. Adesso viene il bello”.

DOVE INIZIA TUTTO 

“Da bambino, al centro calcio federale dell’Acqua Acetosa, a Roma: mi forma Alfonso Giovannini, un tecnico che ritroverò nella fusione tra Futbol Club e Cisco Roma. Ho avuto alcuni problemi fisici legati alla crescita e sono arrivato alla Roma con qualche anno di ritardo rispetto a quando avrei dovuto”.

ROMA

“Ho vissuto sensazioni favolose da romanista. Ma da centrocampista centrale e trequartista ero troppo inferiore agli altri. Roberto Mattioli, tecnico degli allievi regionali, mi spostò difensore centrale. Mi sono accorto che lo facevo con grande naturalezza, in un anno e mezzo ho bruciato le tappe salendo negli Allievi e poi in Primavera da De Rossi. In seguito ho fatto una quindicina di panchine con Rudi Garcia, sogno e comincio a girare in prestito, prendendo qualcosa da ogni posto”

IN GIRO

“A Livorno c’era Panucci, che vide in me la sua evoluzione: mi spostò a terzino destro. Mica mi piaceva troppo, ma ho imparato tanto. A Brescia tornai centrale, a Foggia con Stroppa braccetto destro della difesa a tre. Poi Bologna con Pippo Inzaghi, resto a tre e faccio bene”.

MIHAJLOVIC

“Dal suo arrivo non gioco più. Ci sta che tu non piaccia ad un allenatore, non me ne faccio una ragione ma voglio giocare. Vado ad Amiens per dimostrargli che incassavo la bocciatura, ma avevo la personalità di andarmela a giocare in Francia: scelta che rifarei. Prendo il Covid a 10 partite dalla fine, torno, parlo con il mister ma evidentemente non lo convinco. Vado a Cagliari dove non mi sono mai sentito parte di un progetto, il posto che mi segnato meno, mi spiace. Bologna invece è una ferita aperta. Ma va bene, fa parte del mio mestiere”.

SEMPRE A SGOMITARE

“Se ci pensi si. La Roma mi cede al Bologna per 200 mila euro ed io alla Roma sarà comunque sempre grato. A Bologna parto bene e poi finisco quasi fuori rosa. Amiens con il Covid, ignorato a Cagliari. Mettici anche l’Europeo Under 21, che per quell’Italia, giocando in casa, è stata una grande chance persa. E a Lecce mica è stato facile: da più di un anno non giocavo 90’. Ma mi sono fidato di un uomo schietto come il direttore Corvino. E il tempo mi ha dato ragione. Ho anche preso la fascia di capitano quando mancava Lucioni qualche volta, qualcosa che non potrò scordare mai, ti identifica”.

GOL E VITTORIA CONTRO LA ROMA

“Piccoli risarcimenti che fanno sempre parte di questo lavoro. Con il papà romanista che ho non avrei potuto scegliere altra squadra del cuore. E sono contento così”. 

OLTRE AL CALCIO 

“Ora ho una maturità diversa, ho un’idea, uno spazio a Roma, un qualcosa che aiuti bambini e bambine con problematiche importanti: attraverso lo sport e non solo. La mia fidanzata a Bologna è una psicologa che lavora con piccoli pazienti oncologici. Io penso ad un lavoro di squadra, con professionalità qualificate. Vorrei prima realizzarla”.

FUTURO 

“Voglio diventare padre, non mi spaventa questo, ma molto di più il contesto sociale in cui ci stiamo abituando a vivere dividendo, anziché unire”. 

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