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La 7a giornata di Serie A, da poco archiviatasi, è stata a suo malgrado storica, infrangendo un record negativo che durava da più di 30 anni. 

Di fatto, da quando nella stagione 1993-94 vengono assegnati 3 punti a vittoria, mai come in questo weekend si è trovato così poche volte la via del gol: 11 in 10 partite, superando un precedente di 13 reti in altrettanti match.

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Da cosa deriva questo crollo? Le motivazioni sono molteplici.

Dati oggettivi

Purtroppo non è un caso: dall'avvio di stagione, più volte il nostro campionato, a confronto con i top europei, ha registrato il minor numero di gol nelle singole giornate.

Segnali di crollo arrivavano già dallo scorso maggio quando, per tre giornate consecutive, vennero segnati meno di 20 gol, stabilendo l'ennesimo record negativo.

Tutti gli aspetti che riguardano lo show non appartengono più alla Serie A: tiri, opportunità di reti create, dribbling, intensità continua ecc.

Le Cause

Il nostro campionato ha vissuto molti momenti di crisi negli ultimi anni, causati da problemi oggettivi e chiari agli occhi di tutti.

I sistemi di gioco utilizzati attualmente in Serie A sono prettamente difensivi e speculari: prevalgono i moduli con la difesa a 3, blocco basso e meno spazi da attaccare. Agli esterni da uno contro uno viene preferito sempre un giocatore con caratteristiche difensive, abile a costruire una retroguardia a 5 in non possesso.

Affrontando squadre chiuse, la manovra dal basso risulta lenta e mai pericolosa. L'assenza di dribblatori comporta le squadre a dover trovare soluzioni alternative per sfondare i blocchi: le reti che hanno sbloccato i match della domenica e di lunedì derivano tutti da calcio piazzato. 

La paura dell'errore condiziona le scelte degli allenatori che, in un calcio di panchine costantemente in bilico, lavorano in modo conservativo per ottenere un risultato che accontenti classifica e società. L'esempio perfetto è avvenuto a Marassi, nello 0-0 tra Genoa e Parma maturato nel pomeriggio di domenica: dopo essere rimasti in inferiorità numerica per l'espulsione di Ndiaye sul finale del primo tempo, Carlos Cuesta decide di sostituire Bernabé, giocatore di palleggio e costruzione, per coprire con un nuovo difensore centrale il ruolo lasciato scoperto. Risultato? 0.05% di Expected gol (xG) nel primo tempo e ben 0.00% nel secondo tempo: altro record negativo.

Stessa sorte per il Pisa di Gilardino che, in casa contro il Verona, non ha mai chiamato in causa Montipò.

Inoltre, il ruolo della punta ha perso il suo fascino storico: le giocate in verticale si limitano maggiormente a delle palle lunghe che cercano la sponda per ripartire velocemente sulle fasce. L'attaccante è di fatto un costruttore, non più un finalizzatore, e le statistiche lo confermano chiaramente: i tre migliori marcatori in Serie A, attualmente, sono tutti trequartisti (Orsolini, Nico Paz e Pulisic) che creano gioco partendo defilati. 

Fa riflettere un dato relativo ai tiri in porta: l'attaccante della Juventus, Jonathan David, non ha effettuato nemmeno un tiro verso lo specchio nelle ultime sette gare da lui disputate. Come lui, la carestia del bomber colpisce l'intero campionato, con giocatori storicamente prolifici che vengono via via sempre più marginalizzati nel gioco (molti di loro ancora a secco): Ferguson, Morata, Vlahovic, Gimenez, Kean, Dovbyk, Stulic e altri.

Confronto europeo

Il paragone con le realtà europee conferma la crisi del calcio italiano.

La proposta di un gioco prevalentemente tattico e difensivo abbassa l'audience estera e allontana gli investitori che si spostano su campionati più dinamici e divertenti. Ahimé la fuga non è solo la loro.

Non beneficiando di enormi introiti, i club di Serie A, per mantenere i propri bilanci, sono costretti a vendere i loro giocatori migliori nei mercati che pagano di più, abbassando drasticamente il livello qualitativo della rosa e sostituendoli con scommesse.

Inoltre, anche gli allenatori italiani, noti per proporre un calcio moderno, preferiscono panchine fuori dall'Italia: vedi De Zerbi, Farioli, Maresca e Inzaghi.

Nelle notti europee, la differenza tra i campionati viene fuori: le nostre squadre risultano impreparate a gestire l'intensità delle gare e, dovendosi adattare, ignorano i rigidi schemi difensivi, favorendo un calcio verticale e veloce che spesso lascia spazio alle imbarcate (vedi il Napoli ieri sera ad Eindhoven).

Da non sottovalutare il minor numero di fischi arbitrali: concedendo meno falli, il gioco non subisce lunghe interruzioni e fastidiose perdite di tempo che spezzano il ritmo della gara, costringendo le squadre ad adattarsi alla frenesia del match.

Un problema da risolvere

La crisi del gol non è solo una questione di numeri, ma di identità. Il calcio italiano ha perso la leggerezza del rischio e la voglia di sorprendere. In un contesto dove “meglio non perdere” è diventato un mantra, il talento creativo si spegne e le partite si appiattiscono.

Finché il rischio resterà un tabù, continueremo a guardare gli altri segnare e a domandarci perché.

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