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Alla vigilia della diciassettesima avventura del Lecce nella massima serie italiana l’aria si è fatta un po’ elettrica in seguito alla brutta prestazione contro il Cittadella, con conseguente eliminazione dalla Coppa Italia, e a un calciomercato che tutti sappiamo difficile ma che finora non sembra convincere una significativa parte della tifoseria giallorossa, soprattutto per il ritardo nella copertura dei ruoli difensivi e per qualche partenza che ha lasciato l’amaro in bocca, non tanto dal punto di vista tecnico, quanto dal punto di vista della personalità e del ruolo di riferimento nello spogliatoio.

Questi malumori non hanno lasciato insensibile il responsabile dell’area tecnica Pantaleo Corvino, che ha sentito il bisogno di dare il proprio punto di vista sulle ragioni di determinate scelte, sottolineando ancora una volta come il budget di cui può disporre una squadra come il Lecce in qualche modo condiziona le possibilità di movimento sul mercato. A stretto giro anche il Presidente Saverio Sticchi Damiani è intervenuto facendo il punto sulla situazione e spostando anche l’attenzione su un aspetto che merita un approfondimento: la differenza nell’esito finale della stagione potrebbe farla anche la capacità dell’ambiente di assorbire le sconfitte.

L’ambiente salentino, infatti, negli ultimi 10 anni ha visto la squadra cimentarsi ben 9 volte tra serie B e serie C (3 in B e 6 in C, per la precisione). Alcune volte con successo finale e conseguente promozione, altre volte vedendosi sfuggire al fotofinish l’obiettivo desiderato, ma in tutti i casi si è trattato di stagioni in cui le vittorie sono sempre state maggiori di 15 e al contrario le sconfitte sempre abbondantemente sotto le 10. Nell’unico anno di serie A, terminato con la retrocessione, pur a fronte di numerose sconfitte, il lockdown causato dal covid ha di fatto condizionato e limitato la percezione negativa della tifoseria. Si è di conseguenza consolidata una disabitudine alla sconfitta che può rappresentare un pericolo psicologico per l’intera piazza.

Abbiamo già affrontato l’argomento qualche settimana fa (Il volo di Icaro), ma l’invito del Presidente alla consapevolezza delle inevitabili molte sconfitte che arriveranno, richiede un nuovo excursus storico, per far comprendere come anche in passato e anche in stagioni concluse poi con la conferma della serie A le sconfitte, per una realtà come la nostra, sono sempre state preponderanti e pertanto vanno accettate come la normale condizione di una piccola realtà di provincia che si confronta con le multinazionali e le grandi metropoli.

La Tabella delle 16 stagioni in Serie A

La tabella allegata ripercorre le precedenti 16 annate di serie A a partire dal 1985/86, riportando per ogni stagione il numero di sconfitte in relazione al numero di gare disputate (una stagione a 16 squadre, nove stagioni a 18 squadre e sei stagioni a 20 squadre), traducendo in percentuale tale rapporto, e indicando anche la posizione e l’esito finale del campionato.

Quello che appare subito evidente è che, nonostante il rapporto tra esito positivo e negativo della stagione tutto sommato sia in equilibrio (7 salvezze e 9 retrocessioni), la media tra il numero di sconfitte e il numero di gare disputate si attesta sostanzialmente attorno al 50%.
Questo, calibrato in un campionato a 20 squadre, si traduce nell’aspettativa di collezionare 19 sconfitte, ovvero 1 sconfitta ogni 2 partite. Infatti, se ci concentriamo solo sui campionati a 20 squadre tale media viene perfettamente confermata dai numeri con le sole eccezioni “positive” delle 14 sconfitte nell’anno di Zeman e “negative” delle 23 sconfitte nell’anno di Gregucci/Baldini/Rizzo.

In termini percentuali, la stagione migliore in assoluto (ma pur sempre con più di 10 sconfitte )appare quella del 1988/89 sotto la guida di Mazzone, con sole 11 sconfitte su 34 partite (32,4%, 1 sconfitta ogni 3 partite), mentre quella peggiore resta senza dubbio quella del 1993/94 con in panchina Nedo Sonetti (e poi Rino Marchesi), con ben 26 sconfitte su 34 (76,5%, 3 sconfitte ogni 4 partite!).

Le sei volte in cui la percentuale di sconfitte ha superato il 50% sono sempre coincise con la retrocessione, mentre non sempre restare sotto il 50% ha garantito la permanenza, infatti nel 1990/91, nel 2008/09 e nel 2011/12, pur restando al di sotto di tale parametro, l’esito finale è stato negativo. Curioso, infine, il caso dell’ultima salvezza ottenuta, sotto la guida di Gigi De Canio, quando il prestigioso risultato è stato raggiunto nonostante 19 sconfitte su 38 partite (esattamente il 50%).

Ecco quindi che le parole del Presidente trovano riscontro nella nostra storia. Nessuno vorrebbe assistere a tante debacle, ma i numeri ci dicono che questo è il nostro destino. Attendersi 17, 18 o 19 sconfitte significa anche, realisticamente, immaginare filotti negativi di 3, 4 o 5 sconfitte consecutive, anche a valle di prestazioni magari più che meritevoli. Sapranno i giocatori affrontare con grinta anche tali avversità? Sapranno ripartire la volta successiva con rinnovato entusiasmo e la giusta cattiveria agonistica? Sapranno trasmettere alla gente l’impressione e la certezza di aver dato tutto il possibile per la maglia? Sapranno i tifosi e i giornalisti ingoiare questi bocconi amari e non costruire attorno al gruppo un clima pesante e pessimistico? Se le risposte a queste domande saranno tutte “SI”, allora la salvezza potrebbe essere alla nostra portata, e la citazione del titolo del presente articolo si materializzerà in una grande festa di piazza o, nella peggiore delle ipotesi, in una dignitosa uscita di scena tra gli applausi, come avvenne nell’ultima retrocessione con i tifosi sugli spalti (quella con Liverani era a porte chiuse), quando gli uomini di Cosmi uscirono tra applausi, cori e pianti sia dal Via del Mare contro la Fiorentina, sia dal Bentegodi contro il Chievo Verona.
 

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