Baroni, mi hai rotto il calcio
LO SFOGO
La squadra è stata impresentabile e il titolo, che è sarcastico, non sono riuscito a modellarlo sullo stile dell'eleganza perché è stata la frustrazione a prendere il sopravvento. Ormai è dalla partita contro la Cremonese che il Lecce arranca e perde, gara dopo gara, sicurezza, gioco e intensità. E così si passa dal giocare 70 minuti contro la Cremonese a giocarne 45 contro la Roma, 35 contro la Fiorentina e 2 minuti contro il Bologna. Se continua così contro la Juve ci facciamo gol da soli e gli lasciamo le chiavi del Via del Mare dietro la porta degli spogliatoi.
La situazione è drammatica e non tanto perché la classifica dice male e nemmeno perché negli scontri diretti, o abbordabili, abbiamo fallito il colpo, quanto invece per le dichiarazioni a volte irritanti, nonsense, o forse ironiche, di Baroni nei post partita. Non si rende conto che, per uscire pulito dalla sala stampa, le uniche dichiarazioni accettabili sarebbero quelle che lo vedrebbero al centro delle polemiche, un bel “signori, scusate, è colpa mia”. Roba che puntualmente non avviene e che denota una certa insicurezza da parte del tecnico toscano.
Colpa mia perché sono fissato con un'impostazione di gioco e con i suoi interpreti. E sono un fissato non solo perché non cambio (quasi) mai l'undici iniziale, ma anche perché ci metto una vita a sparigliare le carte in corsa.
Gli alibi li lascio ai tifosi (questo lo dico io, non lo faccio dire a Baroni in questo ipotetico discorso autoaccusatorio). Manca il centrocampista box to box? Stupidaggini. Lo ha trovato in Gonzalez, altrimenti assisteremmo ad un'alternanza senza pace della mezz'ala destra come è avvenuto inizialmente per il lato sinistro tra Bistrovic e Askildsen o Helgason. Lo scorso anno, la svolta tattica fu l'introduzione di Blin nell'undici iniziale accanto a Hjulmand. Una scelta semplice e già collaudata. Manca il terzino destro? Fesserie. Può davvero essere così indispensabile l'alternativa ad un calciatore che non toglie mai? Parliamo di Gendrey. Qualcuno dice che serva la “punta che segna”, ma come fa a segnare uno che gioca lontano dall'area di rigore e che riceve pochissimi palloni? A meno che non sia Mascara, intendo.
Abbiamo sposato il progetto Lecce. Io per primo. Ma avevo sposato l'idea di una squadra che pressava alta, non dico a perdifiato ma quasi, con ribaltamenti di fronte che avrebbero visto sfrecciare ora la freccia mancina ora quella destrorsa. Cosa ne è oggi di quell'idea di calcio? Un gioco sconclusionato, fatto di guizzi di qualche calciatore, fatto di soliti volti in campo, nonostante questo sia il Lecce con la Rosa qualitativamente più ampia mai registrata in Serie A. Il resto, come detto, sono alibi.
Manca qualche giocatore? Può darsi. Gli arbitri ci sono andati giù pesanti? Può darsi. Ma l'identità prescinde da tutto questo. Aveva identità il Lecce di Baroni della Serie B ed era un Lecce con le seconde linee quello che affrontò la Roma in Coppa Italia, che giocò bene, che andò in vantaggio e per poco non la portava a casa quella sfida. Era qualitativamente e quantitativamente inferiore, ma non mentalmente.
Si riparta da quel concetto, dall'idea iniziale di calcio. Si perda meno tempo in filosofie inutili durante la partita e si diventi più concreti, soprattutto nel prendere decisioni tempestive.
E un po' si, caro Marco, mi stai simpatico, ho caldeggiato la tua riconferma in estate, e ci spero ancora, resta il fatto che un po' mi sono rotto il calcio…