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Dopo sei vittorie consecutive arriva un'altra sconfitta per il Lecce, maturata contro un avversario forte e che ha interpretato meglio la partita. Subito dopo si è scatenata la ricerca del “colpevole”: e Corini e Tachtsidis e Stepinski e Nikolov e le sostituzioni, non sono mancati i riferimenti a noi di PL, alla scaramanzia, alle streghe ed al Medioevo. Crediamo che sia catartico incolpare qualcuno sempre e comunque per una sconfitta, come se il calcio fosse uno sport individuale invece che uno sport di squadra. In ogni caso, colpevoli presunti o meno, i giallorossi non solo hanno perso ma non sono sembrati neanche gli stessi che hanno vinto tante partite consecutivamente. Eppure erano sempre loro, allenatore compreso. Cercando di darci una spiegazione, senza pensare all'assassino, neanche se una partita fosse un romanzo giallo di Agatha Christie, una nostra chiave di lettura ce la siamo fatta. Abbiamo notato una squadra, al cospetto di una formazione altrettanto forte, come svuotata psicologicamente più che fisicamente. Perchè diciamo questo? Semplice, perchè la mancanza di condizione fisica di una formazione si può notare alla distanza, in questo caso nel secondo tempo, mentre il Lecce ha iniziato a soffrire , a perdere i duelli, a venire pressato ed a non riuscire a fare altrettanto già nel primo, quando la squadra non poteva essere stanca. Oltretutto dalla partita di Pisa sono trascorsi cinque giorni ed il tempo per recuperare c'era, come se non bastasse anche gli avversari avevano giocato cinque giorni prima. Ma gli interpreti erano irriconoscibili, da Coda che non ha toccato un solo pallone, a Maggio che evidentemente si trova meglio a giocare ogni tre giorni. A questo punto ci siamo convinti che la differenza tra le due squadre sia stata rappresentata dalla voglia, dalla cattiveria e dalla bramosia di vincere. La Spal ce l'aveva, anche il Lecce probabilmente ma i primi sono riusciti a metterla in campo, i secondi no. A livello inconscio, indubbiamente, è scattato qualcosa e pur avendo preparato bene la partita, pur viaggiando sulle ali dell'entusiasmo, pur “vedendo” il traguardo, non si è riusciti ad essere se stessi. Non si può dire neanche che mancassero gli stimoli, perchè quando si è a cinque partite dalla fine e si affronta un'altra big, retrocessa dalla A, gli stimoli dovrebbero venire da soli. E se non bastasse questo ci sono i sacrifici e la vicinanza della società, i voli charter per far stancare di meno gli atleti, i ritiri di lusso ed un premio promozione cospicuo già fissato. Ed allora? Torniamo a quello che dicevamo prima: la squadra non ha giocato con la convinzione giusta. I colpevoli? Tutti! Tutti coloro che sono scesi in campo, così come sono sempre loro quelli che vengono elogiati quando si vince. Difficilmente si vede un Coda che non gioca un pallone, un Pettinari abulico, un Henderson che corre ma senza meta; Hjulmand che non riesce ad avere la personalità per imporsi in un ruolo cruciale come quello che ricopre, Maggio, Gallo, Lucioni e poi i subentrati, da Tachtsidis a Stepinski, passando per Yalcin fino ad arrivare a Nikolov; ci siamo accorti che giocasse solo perchè ha preso la solita ammonizione ed era diffidato. I soli Majer, Bjorkegren e Meccariello ci sono sembrati “in partita”. Troppo pochi, onestamente. Insomma, una gara sbagliata totalmente ed avremmo scritto le stesse cose anche se il Lecce fosse giunto al pareggio. Corini ed i suoi si sono complicati la vita da soli, lo sprint finale del torneo cadetto richiede lacrime e sangue, se non si scende in campo con la voglia di asfaltare gli avversari i rischi di dilapidare quanto di buono è stato fatto sono enormi. E' bene che i protagonisti capiscano una cosa e la imprimano bene in mente: il filotto di vittorie, il record dei gol segnati, avere il capocannoniere del campionato se non si centra l'obiettivo non valgono niente. Il traguardo è lì, il Lecce deve fare quello che sa e non sono più ammessi errori come contro la Spal, il tempo per recuperare, stavolta, non c'è più.
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