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Per chi vive il calcio come se fosse una full immersion quotidiana sulla piattaforma di Twitter, il suo profilo è da seguire obbligatoriamente. E' riuscito a sdoganare, alla grande, il clichè che vuole il calciatore moderno lontano dal fitto rapporto con la tifoseria e i supporters ed è diventato, con la sua (auto) ironia, la sua sagacia e il suo essere cristallino in tutte le scelte professionali e di vita che compie, un punto di riferimento per gli appassionati del pallone, persino di quelli che non sono legati ai colori dei club in cui ha militato in una carriera ormai ventennale. 

Se si ha a che fare con lui sui social, si ha subito l'impressione di parlare con un amico, qualcuno di casa, sicuramente non con un personaggio 'inarrivabile'. Anzi, le condivisioni degli eventi della sua vita personale, oltre che quella sportiva, uniscono ancor di più lui a noi e noi a lui. Di chi parliamo? 

La risposta è ovviamente scontata: è Romano Perticone, difensore centrale con trascorsi importanti al Milan, al Verona, al Livorno e, soprattutto, al Cittadella e uomo dalla strabordante simpatia. Abbiamo avuto modo di averlo tutto per noi ai nostri microfoni - fra l'altro proprio oggi, nel giorno del suo 37° compleanno - e di parlare con lui di calcio, di vita privata e del suo ‘rapporto’ con Lecce e i giallorossi, alcuni dei quali suoi ex compagni di squadra.


Ciao Romano! E’ un estremo piacere intervistarti! Anzitutto, buon compleanno! Come stai?
Grazie davvero! Piacere mio, sto benone! Spero sia lo stesso per tutti voi!

Da qualche giorno ti sei accasato al Treviso, in serie D, dopo l’esperienza pluriennale al Cittadella. Probabilmente hai affrontato il trasloco meno faticoso della tua vita, visto che le due città sono vicinissime. Come sta procedendo la tua nuova avventura nella società biancoceleste?
Hai detto bene: la mia prerogativa era quella di non spostare la mia famiglia da dove viviamo e quindi sono molto contento della soluzione che abbiamo trovato. Devo dire di aver trovato una società davvero organizzata in tutti i suoi aspetti e che non ha niente da invidiare ai migliori club professionistici.


Cosa ti ha spinto a scegliere proprio il Treviso e la sua realtà? Quanto sarà importante la tua enorme esperienza, sia come calciatore sia soprattutto come uomo e leader carismatico, in un campionato ostico come quello della Serie D?
Ho parlato col direttore che si è posto con me in una maniera molto franca e molto sincera e questo mi ha fatto davvero piacere. Mi ha chiesto se io fossi disponibile a dare una mano alla causa, in una realtà che comunque si vuole strutturare e in una città molto importante, bellissima, e che calcisticamente ha vissuto periodi davvero interessanti. Questo ha senza dubbio influito sulla mia scelta.

Quella alle porte è la tua ventesima stagione da calciatore professionista: un’avventura iniziata nell’annata 2003/2004 al Milan e proseguita sui campi di tutta Italia, a tutte le latitudini e in tutte le categorie. Ne avrai viste tante in carriera e hai sicuramente fronteggiato qualsiasi tipo di avversario. Secondo la tua opinione, qual è stato il calciatore più forte con cui hai avuto a che fare? E quale è stato il talento migliore, in prospettiva, che però non è mai esploso definitivamente come avrebbe meritato?
Ne parlavo a Coverciano con dei grandissimi campioni (Ribery e Diamanti, ndr) e discutevamo anche di alcuni giocatori importanti selezionati persino in Nazionale. Io ho avuto la fortuna di affrontare gente del calibro di Ronaldinho ed Eto’o, ma ci siamo tutti trovati d’accordo, in merito, su un giocatore che ha fatto tantissimi anni in Serie A: Totò Di Natale. Era un giocatore incredibile ed è quello che mi ha sorpreso di più, perché era un talento cristallino, un calciatore intelligente, risultava davvero immarcabile perché ogni sua scelta era veramente corretta. Poteva farti gol da qualsiasi posizione ed era difficile da ostacolare. A me ha sempre impressionato. Riguardo al talento mai affermatosi definitivamente, posso dire che ho avuto tanti compagni che, a causa di infortuni, non hanno avuto una carriera che avrebbero senz’altro meritato. Per esempio, ho giocato con Matteo Scozzarella, che ha fatto la Serie A a Parma, ha vinto campionati nelle leghe inferiori (come a Monza). Se avesse avuto, fin da ragazzo, la fortuna di non subire infortuni e avere una crescita più rapida nel calcio che conta, per caratteristiche e per ruolo (era un centrocampista centrale, ndr) sicuramente avrebbe fatto almeno tutta la carriera in Serie A.


Il tuo curriculum narra di sei match totali disputati contro il Lecce nel corso della tua carriera. Curiosamente – non so se lo sai – gli ultimi due incontri di questo novero di partite ti hanno visto con la fascia al braccio. E’ vero che un capitano non dovrebbe mai tradire le proprie emozioni né dare segni di debolezza, però ti chiediamo uno sforzo di pura sincerità: cosa hai provato a giocare al Via del Mare? Dal campo, che sensazioni si vivono nel trovarsi in uno stadio con una tifoseria calorosa e appassionata come quella salentina?
Semplicemente, Lecce è stata sempre una di quelle trasferte che affrontavi con il cuore, perché andavi in una città meravigliosa, con gente che ama il calcio e persone che apprezzo, conosciute quando ho visitato la città in vacanza. C’è sempre stata quell’emozione positiva nell’affrontare una squadra, come quella del Lecce, con blasone e con una grande storia calcistica. Non succede con tutte le avversarie, posso assicurarlo.

Romano Perticone (in maglia bianca, a destra, con il suo affezionato numero 2 sulle spalle e la fascia da capitano al braccio) mentre cerca di contrastare Massimo Coda in uno degli ultimi Lecce-Cittadella al Via del Mare


Non possiamo esimerci dal chiedertelo: durante tutto l’arco del tuo percorso da calciatore, sei mai stato vicino al vestire la maglia del Lecce? 
Concretamente, devo essere onesto e devo dire di no…

In vent’anni, hai avuto modo di interagire con tanti allenatori. Sei stato persino scelto da Carlo Ancelotti in persona per il debutto in Serie A, una soddisfazione che non capita di certo tutti i giorni, e puoi vantare un’annata a fianco dell’indimenticato Emiliano Mondonico. Sei stato anche a contatto con diversi coach passati da Lecce, come Angelo Gregucci, Gian Piero Ventura, Alberto Cavasin e Serse Cosmi. Con quale di queste personalità ti sei trovato meglio?
Risposta semplicissima: Serse Cosmi. E' di fatto un mio amico. Fra l’altro so che ama e adora Lecce. Sicuramente è stato l’allenatore con cui ho legato di più, sebbene tutti gli allenatori citati sono tutti molto validi. Per quello che riguarda il campo e non solo, visto che dà al calciatore un valore non solo calcistico e lo arricchisce sotto tutti i punti di vista, è stato il migliore, per me.


Sempre restando sul tema allenatori, credi che la scelta del presidente Saverio Sticchi Damiani – e del suo entourage tecnico – di Roberto D’Aversa sia la più giusta per il Lecce post Baroni?
Ho visto il Lecce in amichevole contro il Cittadella e ho trovato una squadra che ha già le idee chiare e che vuole proporre calcio,  per cui direi proprio di sì, fermo restando che Baroni è un grandissimo allenatore che ha fatto molto bene a Lecce.

Scorrendo il tuo almanacco personale, troviamo anche delle esperienze che senza dubbio ti sono rimaste scalfite dentro come quelle grazie alle quali sei stato un fedele compagno di Piermario Morosini e Davide Astori, due calciatori di enorme talento scomparsi prematuramente, come tristemente ricordiamo. Come ci si riprende da batoste del genere? Quanto serve essere forti mentalmente prima ancora di esserlo fisicamente per poter continuare a dare calci al pallone e dare un senso vero a quello che si fa?
Quello che è successo a Davide e Mario sono disgrazie che ti segnano per la vita e l’unico modo per vivere al meglio il loro ricordo è apprezzare la vita in tutti i suoi momenti, proprio come facevano loro. Chi non li ha conosciuti personalmente deve sapere che loro erano persone davvero meravigliose, fra le migliori nell’ambiente del calcio. Due persone eccezionali ed è un qualcosa che può confermare chiunque sia entrato a contatto con loro.
 


Voltiamo pagina. Facciamo un gioco. Durante tutto l’arco della tua carriera hai avuto come compagni diversi calciatori passati da Lecce. Noi ti diciamo il nome di alcuni di loro, uno ad uno, e tu ci rispondi soltanto con un aggettivo, quello che più li rappresenta e li identifica. Ci stai?
Va bene, spara!

Cominciamo con Babù…
Cavoli, qui devo andare davvero indietro nel tempo… (ride, anche perchè Romano e Babù hanno giocato assieme 16 anni fa, ndr). Creativo.

Passiamo a Krasimir Chomakov…
Un soldato.

E’ la volta di Giuseppe Cozzolino…
Determinato.

Tocca a William Viali…
Intelligente.

Leonardo Miglionico…
Intelligente, anche lui.

Emanuele Terranova…
Un carro armato.

Cristiano Lucarelli…
Un leader.

Juan Surraco…
Un talento.

Nicholas Caglioni…
(ride, ndr) Un ‘matto’ (nel senso buono, ovviamente).

Francesco Marianini…
Un pezzo di pane.

Paolo Faragò…
Un bravo ragazzo, il classico ragazzo della porta accanto.

Allan Baclet…
Uno tsunami.

E' il turno di Haris Seferovic…
Fortissimo, una potenza.

Jacopo Manconi…
Talento inespresso.

Davis Curiale…
Bomber d’area.

E’ la volta di Filippo Falco…
Ho finito gli aggettivi (ride, ndr). Direi… fantasia.

Youssef Maleh…
Un trattore.

Andrea Esposito…
Grande! Ero con lui al corso di Coverciano qualche giorno fa! Posso dire che è simpatico.

Daniele Cacia…
Centravanti d’altri tempi.

Raffaele Schiavi…
Difensore vecchia maniera.

Mario Gargiulo…
Professionista.

Marco Rosafio…
Ragazzo eccezionale. Una persona di cuore.

Giacomo Beretta…
Jack è il numero uno. Un ariete.

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