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di Stefano Mangione

Basta chiudere gli occhi, aprire la mente, immergersi con il cuore al minuto 72 e sentire la potenza dei cori, le sciarpe che roteano e le bandiere che ondeggiano. E chissà quante ce ne sarebbero state proprio dietro quella porta. Ad incorniciare una di quelle storie che il Lecce di Eugenio Corini sta raccontando come farebbe un cantore d’altri tempi, probabilmente alla maniera di Sandro Ciotti, elegante ed epica, da rimanere a bocca aperta e da tramandare ad un amico, forse cambiando un aggettivo, sicuramente ingigantendo un’azione.

Un vecchio e un bambino si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera…fendendo quella leggera brezza primaverile che preannuncia il ritorno alla vita, ai colori e ai profumi. L’arazzo delle imprese giallorosse accoglie il racconto dei 19 anni e una manciata di mesi che separano due dei protagonisti di Lecce - Salernitana con il primo che nell’estate del 2001 aveva già assaggiato la dolcezza della Serie A insieme all’amaro del doverla già abbandonare e il secondo che stava venendo alla luce su un’isola al largo delle coste africane. L’uno giocava a Vicenza, l’altro nasceva a Las Palmas. Uno ha spostato il vento lungo le fasce di tutta Italia, l’altro ce l’ha nel sangue. Ed è bello pensare che sia stato il vento, con la spinta dell’occhio fine e vigile di Pantaleo Corvino, a portarli lì dove la tramontana si sente a casa e mai sarà stanca di cavalcare.

Ci sono stati alcuni momenti della partita in cui sembrava che le raffiche avessero incontrato frangiflutti perfetti. D’altronde anche a Salerno il vento non scherza. Quasi che uno ci perde la speranza se accade che la tromba d’aria che sta sbaragliando un intero campionato deve uscire dal suo angolo di paradiso per dedicarsi all’assistenza.

Ma la vela, da troppe settimane, è gonfia di passione, carattere e determinazione e non vuole sgonfiarsi. Corini sa conservare la sua otre dei venti per dirottare la sua nave. Aspetta il momento opportuno per aprirla e liberare la tempesta perfetta. E quando si scatena, non c’è porto che tenga. Il bambino dall’oro in bocca calpesta il manto del Via del Mare, si fa prendere per mano dall’avvolgente soffio di Coda che ripiega per permettere la corsa a Maggio. Un 2 che sferza a petto in fuori, con le mani nodose e ruvide, un 99 che lo insegue a occhi chiusi, sicuro di sé e della sua guida. 2 a 0. Una folata che, almeno per oggi, ci ha concesso la bellezza di quelle storie che non fanno pensare ad altro se non alla leggerezza del vento.

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