Quando i Club con le Proprietà straniere non vincono: l'approfondimento di PL

Dalle ambizioni alle delusioni: un viaggio tra le proprietà straniere in Serie A per sfatare un luogo comune tutto italiano
In Italia c’è un’idea che ormai si è radicata nel tempo: le Proprietà straniere vincono. Oggi, in questo spazio, proveremo ad analizzare tutte le proprietà estere presenti in Italia, dimostrando che il binomio straniero uguale vincente non esiste. Almeno non sempre.
Il caso Spezia

Partiamo dallo Spezia. La proprietà straniera più straniera di tutte. Solo nel 2025 ha cambiato tre proprietà, passando definitivamente nelle mani della Ram Spezia Holdings LP, fondo statunitense guidato da Thomas Roberts, investitore americano della finanza con un patrimonio personale di 15 miliardi di dollari e un portafoglio clienti stimato in circa 350 miliardi di dollari. Il magnate americano è intervenuto a titolo personale nell’acquisizione del pacchetto totalitario di azioni del Club di via Melara su richiesta dell’amico Charlie Stillitano, attuale Presidente del Club Aquilotto dopo che nell’interregno di Paul Francis faceva parte del CdA. Un passaggio avvenuto dopo una stagione di transizione, che ha visto ben tre cambi di proprietà sempre di matrice americana. Dai Platek, che hanno guidato il club per tre anni in Serie A e una stagione e mezza in Serie B, a Paul Francis con l’australiano e i suoi soci che si sono ritirati per motivi di salute dello stesso ex patron, fino all’attuale proprietà.
La formazione bianconera, in ogni caso, da quando è acquisita totalmente da stranieri non ha brillato e soprattutto non ha vinto: retrocessione con Piatek e poi due anni di cadetteria con i nuovi proprietari. In questa stagione si trova nei bassifondi della classifica a causa di un inizio stentato. Vedremo se riuscirà a riprendersi o se lotterà di nuovo per la salvezza come accaduto appena due campionati fa.
La B straniera
Parlando più in generale, analizzando tutto il campionato di Serie B, attualmente sono 6 le società controllate, interamente o parzialmente, da capitali esteri: oltre allo Spezia ecco quindi Cesena, Palermo, Padova, Monza e Venezia. Si tratta ancora di una minoranza, ma significativa, in un contesto dove l’equilibrio tra vocazione locale e aperture internazionali è sempre più difficile da mantenere.

Il Cesena è controllato dagli USA, con la Jrl Investment Partners di John Aiello. Il Palermo, invece, fa parte del City Football Group dello sceicco Mansur, già proprietario del Manchester City, mentre il Padova è legato alla holding francese J4A. Infine, il Venezia è gestito dalla VFC Newco, altra realtà statunitense.
In realtà in questa analisi va aggiunta anche la Juve Stabia che ha appena ceduto il 52% delle proprie quote azionarie alla società di investimenti sportivi Brera Holdings con sede a Dublino.
Il Monza è diventato di recente ufficialmente americano. Fininvest e il fondo statunitense Beckett Layne Ventures hanno comunicato di aver perfezionato il primo closing dell'operazione già annunciata il 1 luglio scorso. BLV ha assunto il controllo del club con l'80% delle azioni, Fininvest resterà azionista del club con una quota del 20% che verrà ceduta sempre allo stesso fondo entro il giugno 2026.
Anche in questo caso i risultati non sono poi così soddisfacenti. Dall’arrivo dello sceicco, a Palermo sognano la Serie A ma per le prime due stagioni si sono dovuti accontentare di play off da quasi spettatori. In questa stagione hanno puntato sui top di categoria e potrebbero finalmente compiere il grande salto, eppure la B non è scontata e bisognerà lottare fino all’ultimo.
Il Venezia, invece, lo scorso anno, nonostante la proprietà americana, ha investito poco sulla rosa e molto sul brand, retrocedendo all’ultima giornata solo grazie ad un miracolo di Di Francesco, che ha reso all’altezza della categoria una rosa che all’altezza non era per niente.

Ed in Serie A?
12 proprietà su 20 sono straniere. Alcune controllate da holding ed altre da fondi, con dei soggetti che li rappresentano e mettono la faccia per chi poi realmente finanzia queste attività.
Ci sono esempi virtuosi come Atalanta, Bologna, Fiorentina e Como, sebbene anche qui bisogna fare un distinguo necessario. I bergamaschi hanno costruito il loro modello attraverso la famiglia Percassi e solo dopo gli americani hanno appoggiato questo progetto, investendo capitali propri per arricchirlo e migliorarlo.
A Bologna il patron Saputo è stato lungimirante, si è affidato alle persone giuste e con tempo e pazienza ha costruito una squadra che adesso ogni anno punta all’Europa, alzando anche un trofeo dopo più di 50 anni.
A Firenze il presidente Rocco Commisso ha dimostrato di avere grande liquidità ma si è pure scontrato contro la burocrazia italiana e per poco non ha abbandonato tutto quando sembrava che stadio e centro sportivo dovessero rimanere soltanto dei sogni nella sua testa.
Infine, Como. Non si può parlare di modello. Il presidente Hartono ha una disponibilità economica fuori da ogni logica ed in ogni sessione di mercato sborsa circa 100 milioni per acquistare giovani dal futuro assicurato. La vera domanda da porsi è: quanto durerà tutto questo?
Le altre compagini con proprietà straniera hanno un futuro tutto da dimostrare e saranno in lotta con il Lecce fino all’ultimo per mantenere la categoria. Parliamo di Genoa, Pisa, Verona e Parma. Nonostante i presidenti non siano italiani ma rappresentanti di holding estere, nessuna di queste formazioni ha regalato ai propri tifosi un mercato sfavillante, con tanti prestiti o giocatori a fine corsa. Insomma, ci teniamo il nostro “mercato delle idee” alla ricerca di prospetti giovani e futuribili.
Nelle categorie inferiori
Nelle categorie inferiori la situazione è drammatica e nemmeno le proprietà straniere sono state in grade di invertire la tendenza. Una piazza come Trieste ha vissuto l’onta delle penalizzazioni proprio a casa di proprietari cinesi che non si sono dimostrati all’altezza della storia dell’Alabarda.
Pelligra a Catania ha speso denaro sonante per costruire compagini forti e vincenti ma i risultati non sono mai arrivati ed i rossoblù sono impantanati da tempo immemore nelle sabbie mobili della terza serie.
Infine la Spal. Che adesso non si chiama più Spal. E deve tutto questo a Tacopina, che dopo i danni commessi a Bologna e Catania ha completato l’opera a Ferrara, facendo sparire una società gloriosa che negli ultimi anni aveva anche assaggiato il sapore dolce della Serie A.
Questa analisi vuole dimostrare che straniero non è sinonimo di vincente e che avere una proprietà salentina, tifosa, radicata al territorio dovrebbe rappresentare per tutti un vanto ed una garanzia di impegno. Non di successo. Perchè quello dipende da troppi fattori. Ma di impegno sì.
Il Lecce è un modello. Adesso esiste il modello Lecce. Unico e forse irripetibile. Godiamocelo e siamo orgogliosi di quello che siamo. Da altre parti venderebbero l’anima al diavolo per essere al nostro posto. Il giardino del vicino non è sempre più verde, nemmeno se l’erba è curata da un proprietario estero.