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Arrivato nel corso del calciomercato estivo per raccogliere una pesante eredità, quella lasciata da Nikola Krstovic, Nikola Stulic si è trovato fin da subito a dover convivere con aspettative elevate e paragoni inevitabili. Un compito tutt’altro che semplice, soprattutto per un attaccante chiamato a inserirsi in un contesto nuovo, con tempi di adattamento che raramente coincidono con la pazienza delle piazze.

Il primo gol è arrivato solo alla quindicesima giornata, nella gara contro il Pisa, ed è un dato oggettivo che il bottino realizzativo non sia stato fin qui all’altezza delle attese. Ma fermarsi ai numeri, senza osservare il resto, significa raccontare solo una parte della storia.

Stulic, infatti, non è mai venuto meno sotto il profilo dell’impegno. In partita ha sempre dato il 100%, mentre dal campo di allenamento filtra una dedizione persino superiore, quel “110%” che ogni allenatore chiede e che raramente viene riconosciuto all’esterno. È un calciatore che corre, lotta, pressa, si mette a disposizione della squadra, anche quando il pallone non entra.

Eppure, allo Stadio Via del Mare, sono arrivati i fischi. Prima nella sfida contro il Torino, poi nuovamente nella gara contro il Como. Fischi che pongono una questione di fondo: ha senso contestare un giocatore solo perché non segna, quando l’impegno non è mai mancato?

La risposta, per chi conosce il calcio e il valore dello spogliatoio, non può che essere negativa. Non ha senso. I fischi dovrebbero essere riservati a chi mostra atteggiamenti vergognosi, a chi passeggia in campo, a chi tradisce la maglia per superficialità o mancanza di rispetto. Non a chi, pur con limiti e difficoltà, si spende fino all’ultimo minuto per la causa comune.

Contestare Stulic in questo momento non produce alcun beneficio. Al contrario, lo demoralizza, ne mina la serenità e finisce per danneggiare non solo il calciatore, ma l’intera squadra. Perché Stulic resterà a Lecce fino al termine della stagione e solo per questo rappresenta una risorsa che va sostenuta, non indebolita.

Il calcio è fatto anche di fiducia, di contesto, di empatia tra squadra e pubblico. Una tifoseria può e deve essere esigente, ma senza perdere il senso delle proporzioni. Fischiare chi dà tutto, solo perché non trova la via del gol, è un comportamento che non aiuta nessuno. E soprattutto non appartiene a una cultura del tifo che vuole davvero il bene del Lecce.

In questo caso, più che un segnale di ambizione, i fischi appaiono senza senso. E il Lecce, oggi più che mai, soprattutto dopo l'ennesimo episodio arbitrale dubbio, ha bisogno di unità. Non di bersagli facili.

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