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Una piccola premessa iniziale: durante la mia infanzia, ho avuto la fortuna di essere circondato da educatori validissimi che hanno sempre anteposto l’importanza del valore umano rispetto alle classiche e routinarie nozioni scolastiche. Una di queste maestre, Rosalia, a seguito di una sconfitta personale rimediata da qualcuno più bravo, più forte e migliore di me, era solita portarmi a riconoscere la superiorità della controparte ribadendo la frase ‘onore al merito’. Quest’espressione mi è ritornata alla mente prima di scrivere quest’editoriale e l’ho applicata al contesto attuale: sto solo onorando il merito di qualcuno. E quel qualcuno è Pantaleo Corvino.


Me lo immagino, Pantaleo Corvino, da Vernole, sorridere dopo che la Primavera, la sua Primavera, ha trionfato nella finale scudetto, suggellando un campionato di vertice con assoluta supremazia e incontestabile superiorità, trasformando una squadra di cadetteria in una corazzata che passerà alla storia come un team dalla grande solidità difensiva e da una serie chilometrica di risultati utili ottenuti nel corso della stagione.

Me lo immagino, Pantaleo Corvino, da Vernole, sorridere dopo che, con la sua lungimiranza, ha raccolto sotto lo stesso vessillo il capocannoniere del torneo Primavera della scorsa stagione (Persson, ormai in prima squadra) e quello della manifestazione conclusasi qualche ora fa (Burnete, il terminale offensivo spietato per il quale Coppitelli e Chevanton si sono sfregati le mani dalla gioia fino all’ultimo secondo della sfida finale contro la Fiorentina).

Me lo immagino, Pantaleo Corvino, da Vernole, sorridere dopo che ha scandagliato in lungo e in largo tutta Europa alla ricerca di talenti ancora acerbi ma dal potenziale avvenire e trarre soddisfazione dalla loro esplosione e dalla loro netta affermazione. Perché se oggi calciatori come Patrick Dorgu, Medon Berisha, Rares Burnete, Ed McJannet, Catalin Vulturar, l'MPV della finale Emin Hasic e Alexandru Borbei (per citarne solo alcuni) hanno la possibilità di affacciarsi al pieno mondo professionistico e al fare un pensierino più solido, rispetto al passato, per un approdo fra i giallorossi ‘grandi’, non è poi un’idea così peregrina.

Me lo immagino, Pantaleo Corvino, da Vernole, sorridere dopo aver annunciato un ‘mercato delle idee’ che solo chi non comprende le più ovvie dietrologie ha frainteso, mistificato e trasformato di significato. Dovevamo capirlo tutti a cosa si stava puntando. E nel comprenderlo, avremmo tutti – nessuno escluso – dovuto tenere a fuoco le difficoltà del caso in previsione di un grado di soddisfazione iperuranico qualora l’intero iter ci avesse arriso, come poi è accaduto. Perché lavorare con i soldi è facile (Capitan Ovvio, ci sei?), lavorare con le (sole) idee è molto più difficile, soprattutto quando hai la consapevolezza che la trasformazione di quelle idee in valori concreti è la più grande cascata di entusiasmo e di affermazione professionale che chiunque, al posto di un responsabile dell’area tecnica di un piccolo club calcistico del sud d’italia, vorrebbe fra le mani.

Me lo immagino, Pantaleo Corvino, da Vernole, sorridere quando tutti, or ora, perfino gli acerrimi nemici e i detrattori della prima e dell’ultim’ora, si riempiono la bocca con il termine ‘plusvalenza’, un punto di arrivo incredibilmente appagante quando hai mezzi finanziari limitati, il monte ingaggi più basso della Serie A, la bollatura come squadra più debole e più sfigata del campionato ma, nonostante le avversità, sei in grado di portare a Lecce uno come Morten Hjulmand (pagato quanto un’auto di lusso e dal valore attuale più alto in rosa), oppure uno come Gabriel Strefezza (costato meno di un appartamento in centro a Milano e capocannoniere del gruppo), o ancora uno come Federico Baschirotto (per il quale anche io stesso avevo qualche remora, totalmente spazzata poi via da un rendimento approvato a livello nazional popolare), o infine tutti quegli elementi tesserati con quattru sordi e che ora fanno gola e appetito a tanti, ma soprattutto a noi sostenitori giallorossi perché valgono molto, ma molto di più.

Me lo immagino, Pantaleo Corvino, da Vernole, sorridere mentre ripercorre nella mente la sua (nuova) parentesi al Lecce, un corso di successo che lo ha portato prima a stravincere la Serie B andando contro i pronostici che preferivano squadre più quotate e più forti economicamente, poi a salvarsi nel massimo campionato, irridendo tutti i bookmakers che ci volevano retrocessi a dicembre, alcuni addetti ai lavori che ci davano spacciati fin dall’inizio e qualche tifosetto mal informato che reputava quei quattro ragazzi da lui tirati su come inadatti per la categoria. Eppure, il Lecce non ha mai occupato le ultime tre caselle della graduatoria e ha conquistato la permanenza in Serie A con una giornata di anticipo, aprendo le danze ad un carro dei vincitori dove sono saliti i detrattori (da tastiera e non) per primi.

Me lo immagino, Pantaleo Corvino, da Vernole, sorridere e forse commuoversi dopo l’abbraccio con Samuel Umtiti alla sua sostituzione e alla conseguente standing ovation che solo un campione come lui poteva ricevere al Via del Mare. In fondo, è stata la ciliegina sulla torta, la chiusura perfetta di un cerchio aperto dalla concentrazione dei propri sforzi per portare a Lecce un campione del mondo in cerca di rilancio, su cui puntare e credere ciecamente quando molti, tutt’attorno, lo consideravano un calciatore finito, a fine carriera, rotto, inservibile; il cerchio si è chiuso, adesso, con coloro i quali piangono l’addio dell’esperto centrale francese, accodandosi a quelli che (a ragione) lo hanno definito il miglior difensore che la società giallorossa abbia mai avuto nel corso della sua storia e uno degli uomini che, per umiltà, attaccamento, abnegazione, impegno e passione, ha permesso di raggiungere uno storico punto di svolta. E tutto era nella testa e nei piani di Corvino fin dall’inizio.

Me lo immagino, Pantaleo Corvino, da Vernole, sorridere mentre spulcia ogni commento negativo sul suo conto, sul suo operato, sulla sua parentesi fortemente voluta da Saverio Sticchi Damiani. Chissà quante volte si è sentito etichettato alla stregua di un despota, di un tiranno delle relazioni interpersonali oppure di un burbero intrattabile. Chissà quante volte ha dovuto tapparsi le orecchie davanti a tutti quegli esperti di calcio (che chissà perché non sono usciti mai prima del suo arrivo…), uniti a tante pagine biasimatrici e denigratorie su Facebook dai nomi di ordigni bellici, agli account di chi si spaccia per tifoso vero criticando a destra e a manca la stretta attualità in nome dei bei tempi che furono (perchè questi, che sono?), a vari gruppi su Telegram dalla denominazione curiosa e cangiante ogni due-per-tre e ai twittaroli con il nickname offensivo rispetto alla sua persona, che sapevano tutto su come scoprire talenti, su come portare avanti una società di calcio, su come evitare di prendere quello che nu mbale, oppure quell’altro che nciulia na punta de categoria, no Ceesay o Colombo, oppure come risolvere i problemi di una stagione mandando via tutto e tutti alla prima debacle di rilievo. E ora Pantaleo gongola, perché le orecchie può stapparsele davvero e sentire solo applausi e apprezzamenti.

Me lo immagino, Pantaleo Corvino, da Vernole, sorridere dopo che tanti ‘sostenitori’ di questo Lecce lo volevano lontano dalla città, in un tentativo di fuga codardo e vigliacco, con un respingimento emotivo in palese contrasto con chi avrebbe fatto carte false per averlo anche solo per qualche mese per risollevare le sorti di una compagine in crisi, oppure per pianificare la crescita di un team con la scoperta di calciatori (semi)sconosciuti da lanciare in un mercato sempre più arido di contenuti e sempre più inflazionato dalla voglia di spremere e guadagnare. Perché, si sa: a Lecce la verità ce l’hanno in tasca tutti, ma quando è il momento di tirarla fuori, chissà perché, le tasche sono bucate.

Me lo immagino, Pantaleo Corvino, da Vernole, sorridere dopo essersi trovato, a 73 anni, criticato aspramente per il suo operato, come un giovinetto alle prime armi qualunque, a dispetto dei suoi quarant’anni di carriera, mentre lucida il premio come miglior direttore sportivo d’Italia ottenuto a marzo di quest’anno, oppure il riconoscimento per le 600 partite in Serie A con lui al timone, dimenticando che gli errori durante un percorso lavorativo possono verificarsi (d’altronde, non sbaglia solo chi non fa) ma che chi è uscito allo scoperto mentre li sottolineava ora farebbe meglio a nascondersi, perché è stato ampiamente spazzato via dal terzo scudetto della sua storia con la prima formazione giovanile del club.

Me lo immagino, Pantaleo Corvino, da Vernole, sorridere. Perché, nel calcio, sorride chi vince e chi ha successo. E salvare l’organico principale in una serie A con pochi mezzi economici ma con enorme e gigante competenza è dura. Aggiungerci il ‘carico di briscola’ dello scudetto Primavera è tanta, tantissima roba. Con buona pace di chi si è (quasi) divertito nel vederlo fallire, in un tentativo di ingigantire il proprio ego, ma si è ritrovato svuotato e nuovamente inutile come solo chi sa criticare senza apprezzare sa fare. E per Pantaleo il sorriso è doppio: li ha piegati tutti e se li è messi in tasca. Senza buche, stavolta.

Me lo voglio immaginare ancora, Pantaleo Corvino, da Vernole, continuare a sorridere, a partire da oggi stesso (anche se è domenica ed è un festivo, ma gli uomini di calcio non si fermano mai) e fino a quando avrà forza, voglia e determinazione, sulla sua poltrona d'ufficio in Via Costadura, al servizio di Lecce e del suo Lecce, del suo presidente, della sua società e dei suoi tifosi - quelli veri, fortunatamente tantissimi - i quali lo hanno sempre voluto con loro e che non concepirebbero nemmeno lontanamente di vederlo altrove se non lì, ad arrotolarsi le maniche nel tentativo di portare in giallorosso un altro campioncino in erba dalla Scandinavia, un calciatore forse un po' appannato da un’infelice sliding door della carriera ma da rilanciare con prepotenza o un campione plurivincitore ma non più di primo pelo, magari caduto nel dimenticatoio e quindi da rispolverare, il tutto incastonato in una realtà fatta di entusiasmo e di stimoli autentici. E mentre me lo immagino, non mi capacito di come, in giro per il Salento, chiunque non lo rincorra per dirgli semplicemente ‘grazie’. E al contempo sorrido anch’io: quel ‘vecchio’ sottufficiale dell’Aeronautica Militare con la passione per il calcio e per la sua terra ce l’ha fatta. Ancora una volta.

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