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Robertino Rizzo, ex allenatore del Lecce, ha scritto pagine importanti di storia con il club giallorosso e la sua Primavera. Il Nuovo Quotidiano di Puglia lo ha intervistato oggi alla vigilia della sfida tra la squadra salentina e la Fiorentina, valevole nuovamentre per il titolo del campionato Primavera.

“Ho ricordi entusiasmanti di quei successi. Era la prima volta per Lecce e per il Settore giovanile giallorosso. Si creò intorno un movimento che è durato anni in cui tutto il Salento si sentiva coinvolto. Un’esperienza indimenticabile".

Come fu il primo scudetto?
“Inaspettato. Era una squadra che giocava sotto età, era il gruppo dell’annata 1985. Pensate, l’Inter, che battemmo in finale, era farcita di classe ‘83. Già durante il campionato però avevamo la sensazione di avere in mano una squadra bellissima, forte, piena di contenuti e di valori. Poi, quando arrivammo lì facemmo le cose come andavano fatte e venne fuori un risultato straordinario”.

Di quella squadra o di quelle annate arrivò in Serie A il giusto numero di calciatori?
“Ci arrivarono anzitutto Esposito e Pellè. Mentre della squadra che vinse il secondo scudetto emersero Rullo, Rosati. Qualcuno, come Giorgino e Negro, ha esordito con me nella mia esperienza a Lecce da allenatore della Prima Squadra in A. Credo che siamo nella media di giocatori che dal vivaio arrivano in A”.

Cosa comporta lavorare con i giovani?
“Quella squadra aveva un percorso ben definito perché veniva da quattro, cinque anni di settore giovanile con noi. E con un gruppo di lavoro eccezionale sempre poco ricordato, francamente”.

A chi si riferisce?
“A Raimondo Marino, a Vergallo, a Miggiano, a Luperto e forse ne dimentico qualcuno. Io ero solo la punta dell’iceberg. Gente che è stata determinante per la crescita di questi ragazzi”.

Ha seguito in questi anni la rinascita del settore giovanile giallorosso e in particolare della Primavera?
“Ad essere sincero no, però ho seguito la Primavera, proprio l’altra sera con il Sassuolo. Nel momento di difficoltà è venuto fuori il carattere della squadra e questo è un buon segno, i ragazzi sono stati bravi”.

Che consiglio, non tecnico, può dare in queste ore di vigilia?
“Dopo un anno logorante bisogna lavorare di più sulla testa. Vince la motivazione, vince chi ha più voglia di farlo”.

Quanto è cambiato oggi il calcio giovanile?
“Oggi è sicuramente più globalizzato. La mia squadra era formata all’ottanta per cento da salentini. Sicuramente c’è stata un’evoluzione tattica, ma i criteri di gioco rimangono quelli. Noi lavoravamo in maniera quasi artigianale, selettiva. Solo in Primavera impostavamo un certo tipo di discorso”.

Anche strutturalmente oggi vediamo un altro tipo di calciatori.
"Questi secondo me sono luoghi comuni. Anche le squadre che affrontavamo in quel periodo avevano giocatori di grande struttura. Ad esempio, la prima Juve sconfitta in Supercoppa aveva Brighi, Pederzoli, Ruben Olivera. In quella successiva c’erano i Marchisio, i De Ceglie: non era gente piccolina. Poi avevano anche loro i Giovinco. Noi avevamo un gruppo dalla cintola in su calciatori magari piccoli fisicament, ma dinamici, rapidi, che sapevano far male agli avversari. Poi avevamo dietro Camisa, Esposito, Kouyo. Oggi, però, si sta andando di nuovo alla ricerca di calciatori forti nell’uno contro uno. E i miei da quel punto di vista erano formidabili".

Il metodo Corvino sta pagando visti i risultati.
“Ha un’idea di fondo e la porta avanti scegliendosi le persone di cui circondarsi. E poi c’è un gran lavoro di scouting. Quest’anno so che c’è un buon allenatore e nello staff anche Javier Chevanton. Se si infarina tutto al punto giusto si possono ottenere buoni risultati”. 

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