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Salvatore Di Somma, ex direttore sportivo del Benevento, ha rilasciato una lunga intervista ad Anteprima24.it, nella quale ha risposto a Marco Baroni, tecnico del lecce, il quale qualche giorno fa aveva rilasciato alcune dichiarazioni, dicendo che il Benevento in Serie A con lui in panchina era una squadra debole. Queste le parole del dirigente: 

“Conoscendo Baroni non mi meraviglio delle sue esternazioni, ma non voglio fare più polemica”.  

Cosa non ha funzionato dopo la promozione in serie A?

“Il calciomercato fu durissimo, eravamo tutti inesperti ma abbiamo pagato in particolar modo la presunzione tecnica, forse dovuta all’entusiasmo del momento. Avevamo ottenuto quel prestigioso traguardo anche grazie ai vari Falco, Venuti e Cragno. Giocatori che avevo preso con la formula del prestito l’anno precedente, conducendo il mercato praticamente da solo. Del resto la situazione societaria dell’epoca presentava un quadro molto confuso”. 

Ha detto che all’epoca fu Baroni a non volere più i ‘big’.

“E’ così. Scelse di cambiare modulo virando su un 4-4-2 offensivo che si scontrò subito con la realtà durissima della massima serie. Puntò su altri giocatori nonostante avessimo professionisti che a Benevento sarebbero rimasti volentieri rinnovando i rispettivi prestiti. L’errore più grande è stato dargli carta bianca, affidargli completamente le scelte. Ora mi tocca leggere che la squadra era debole. Ho dato tanto al Benevento e non trovo giusto che venga ricordato per una retrocessione dalla A alla B le cui responsabilità non sono state solo mie, anzi”.

Eppure fu lei a sceglierlo per il dopo-Auteri, il cui addio sorprese un po’ tutti. 

“Gaetano rinunciò alla B nonostante la riconferma con offerta di rinnovo. Vide troppa confusione ai vertici del club, che era in un periodo di transizione. Ebbe un battibecco con qualche esponente dell’epoca della società e andò via. Del resto solo chi ha vissuto dall’interno i due anni del ‘miracolo sportivo’ conosce le difficoltà affrontate, gli ostacoli che abbiamo dovuto superare. Ho condotto da solo le sessioni di mercato, la società era basata  su di me, sull’allenatore Gaetano Auteri e sul team manager. Non affondammo e riuscimmo addirittura a vincere il campionato di C dando una prova di forza impressionante”.

Dunque, contrariamente a quanto sostiene Baroni, anche nell’estate 2016 fu lei a condurre le trattative?

“In solitudine, confermo. Mi ritrovai da solo nelle stagioni di C e di B, quelle del doppio salto. Nonostante ciò, riuscii ad allestire squadre di una certa importanza e caratura, che raggiunsero risultati insperati. All’inizio fu difficilissimo. La gente non era contenta, Vigorito aveva appena ‘passato la mano’ il club dopo il play off persi con il Como, il malumore e lo scetticismo erano palpabili. Ripartimmo quasi da zero, fu terribile all’inizio ma gratificante alla fine. Per questo non capisco le critiche nei miei confronti, provo un certo fastidio”. 

Come mai scelse Baroni?

“Uno dei tanti amici che ho nel mondo del calcio mi consigliò di affidare la panchina a lui. Veniva da un esonero e da un’eliminazione ai play off con il Novara. Ci incontrammo in un ristorante di Milano e trovammo l’accordo in poco tempo. L’obiettivo fissato era la salvezza alla prima stagione di B, è vero, ma si creò un mix importante che fece decollare la squadra. Mi convinse sia per l’idea di calcio che sul piano umano. Poi, come è evidente, qualcosa si è rotto”.

Il Benevento è ripartito da Carli e Andreoletti, sono gli uomini giusti?

“Carli è un nome importante del settore, un grande professionista e conoscitore di calcio. Mi fa enormemente piacere che Vigorito abbia scelto di ripartire, non era affatto scontato. Sento di spendere parole buone anche per Andreoletti, uno dei migliori tecnici emergenti del panorama, reduce da un campionato straordinario con la Pro Sesto. Fatte queste premesse, non si può non sottolineare che il girone C è devastante, un vero inferno. Mi auguro che il Crotone vada in B e che il Cosenza si salvi, altrimenti le piazze importanti e calde sono davvero troppe. Per non parlare delle sorprese, che non 

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