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Amina Milo Kalelkyzy ha 18 anni è salentina e vive a Lequile, in provincia di Lecce, da quando ne ha otto, ed è una cittadina italiana. L'estate appena passata ha deciso di viaggiare nella sua terra d'origine, il Kazakistan, dove però è stata arrestata con l'accusa di traffico internazionale di droga. Un'accusa tanto grossa quanto "infondata perché non esiste alcuna prova", sostengono i suoi genitori Assemgul Sapenova e Sergio Milo, secondo i quali la loro figlia sarebbe stata "maltrattata e segregata dalla polizia".

Amina ha sin da subito allontanato ogni accusa e dalla struttura detentiva di Astana, dove è imprigionata da più di tre mesi, ha scritto un biglietto reclamando "aiuto all'Italia e in particolare al ministro Tajani: vi prego, voglio tornare a casa", si legge sul foglietto di un agenda affidata a sua madre. La Farnesina ha promesso che il ministro degli Esteri, prontamente informato della vicenda, ha dato ordini all'ambasciata ad Astana di assicurare la massima assistenza alla connazionale che riceve visite regolari da parte del personale consolare italiano.

Amina, spiegano i genitori, è stata fermata la prima volta verso la metà di giugno, quando era in compagnia di un ragazzo della stessa età del posto, ed è stata trasportata "dalla polizia in un appartamento privato, segregata per circa 18 giorni" durante i quali sarebbe stata "maltrattata, umiliata e picchiata", e avrebbe "subito tentativi di stupro". A sua madre gli agenti avrebbero anche preteso 60mila euro per rilasciare la giovane. E quando Sapenova ha detto loro che intendeva chiedere aiuto alle autorità italiane, avrebbero intimidito di "fare del male ad Amina".

Ma il legale che segue il caso in Kazakistan l'ha indotta comunque ad avvisare l'ambasciata, che con decisione ha ottenuto il rilascio della 18enne, evidenziando che si trattava di "uno stato di detenzione preventiva illegittimo". Amina, però l'11 luglio è stata un'altra volta chiamata dalla polizia. Credeva fossero dei semplici adempimenti burocratici ma dopo essere stata "spinta" a firmare alcuni documenti in una lingua che non capisce, perché "non comprende né il russo né il kazako", è stata un'altra volta arrestata per traffico internazionale di droga. E ora corre il rischio di trascorrere dai 10 ai 15 anni in carcere.

Dal Kazakistan, la madre di Amina spiega che sua figlia ha provato due volte il suicidio da quando è reclusa: "La prima dopo un tentativo di stupro, la seconda quando le hanno negato i domiciliari. Sta male perché nessuno le crede. E' stanca, ha perso nove chili. Siamo tutti molto depressi. Qui è complicato entrare nel carcere: dopo lunghe attese posso vederla per appena 15 minuti. Non posso lasciarla con questi lupi". Suo padre adottivo, Sergio Milo, sposato con Assemgul, si rivolge "al governo italiano perché possa intervenire in questa vicenda in cui sono stati lesi tutti i diritti internazionali: mia figlia è stata tenuta sotto sequestro per giorni senza nessuna prova, senza nessun indizio, senza darle un avvocato né un interprete. E non hanno comunicato nulla né all'ambasciata italiana né a mia moglie".

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