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ATTO I 

Ho una specie di rito con un amico, da qualche anno a questa parte: tirare le somme della stagione appena trascorsa. Direte, giustamente, “grazie al c***o, lo facciamo tutti da trent’anni”. Vero, però per me e lui ha assunto un significato particolare: abbiamo trascorso tante domeniche sugli spalti del Via del Mare, nei bui anni della serie C. 

Dopo la gioia più grande, Lecce-Paganese, non abbiamo più condiviso quelle domeniche insieme, per motivi lavorativi che hanno prima allontanato me dalla città di Lecce e poi hanno portato via anche lui. Allora abbiamo preso questa abitudine; ci sentiamo alla fine di quasi tutte le partite e il “tirare le somme” ha un sapore speciale, perché vedi le cose da un’altra prospettiva. Mi sono sempre appropriato di una frase: quando vuoi vederci chiaro in qualcosa, prova a cambiare prospettiva. Quale prospettiva migliore, allora, del guardarsi dietro, alle spalle, specialmente nel calcio, per avere la lucidità di produrre delle considerazioni? Lo so, non vi sto dicendo niente di nuovo, e voi lo avete professato per tutte queste stagioni. Lui mi ha fatto una domanda, lunedì scorso: “Angelo (mi chiamano tutti così), trovami quattro momenti “svolta” di questa stagione”. Ne abbiamo parlato e dopo un’oretta di telefonata ci siamo salutati. In questi giorni mi è venuta la malsana idea di scrivervi dei mini racconti di quattro tappe, queste “svolte” che hanno caratterizzato questa stagione. Non parlerò di risultati, marcatori, statistiche, schemi. Vorrei parlare di tutto quello che contorna prima e dopo una partita di calcio, quello che ci fa esplodere dentro e, ovviamente, spiegare perché queste sono, per me, delle “svolte”.

Avviso ai naviganti: Lecce-Inter, 13 Agosto 2022. 

La partita d’esordio del Lecce contro l’Inter alla vigilia di Ferragosto per me è la prima svolta. Questa partita è iniziata già settimane prima, all’uscita del calendario, ed un dubbio tormenta i tifosi: con chi giochiamo? Non tanto in attacco o a centrocampo, ma in difesa! ll tormentone estivo è solo uno: dobbiamo comprare difensori. Quali non si sa, basta che li compriamo. Come quando a calcetto ti mancano due persone e accetteresti tutti, anche la nonna del custode del campetto. Nella mente dei tifosi si insinua un dubbio: non è che Corvino, dato il riscaldamento globale, ha perso troppi liquidi e abbia perso lucidità? Il dubbio si insinua ovunque: tra i vicoli, nelle case, sotto gli ombrelloni. Attendono, ma all'aeroporto di Brindisi non atterra nessuno. Forse conviene guardare se da qualche yacht scende qualcuno, a Gallipoli o Leuca. Niente, nemmeno lì. Le scuole calcio sono anche chiuse, magari da vedere uno che sa spazzare la palla. Che sfiga! Sui social la schiera di allenatori si desta dal letargo post promozione e minaccia la rivolta, sciorinando consigli e mantra da perfetti guru del mercato estivo. Insomma, tanto sconforto. Ma dove c’è lo sconforto c’è anche altro: ero alla laurea del fratello di un mio carissimo amico, primi di Agosto. 

Pausa sigaretta: si DEVE parlare di calcio. Lo si avverte nell’aria calda. Una frase mi colpisce quel giorno, pronunciata da un ragazzo: “L’Inter, a Lecce, non ci vince”. Sappiamo tutti com’è finita la partita, vi starete chiedendo perchè quella frase mi ha colpito. Rispondo subito: è la prima frase ottimista, sul Lecce, che sentivo da settimane. E subito dopo ne arriva un’altra: “Io mi fido del Corvo”, detto con coraggio, con forza. Forse è l’alcool che ha parlato; forse anche qui è arrivato il riscaldamento globale, a pochi chilometri dalla casa di Corvino. Sta di fatto che, se foste stati presenti, avreste assistito al simultaneo riempirsi di orgoglio del petto degli invitati, come se, finalmente, ci si potesse riempire di una nuova aria: l’aria della speranza. Perché, quando scegli di tifare una squadra come il Lecce, alla speranza ci devi credere. Se avessero iniziato tutti a mettersi in piedi sulle panchine e sulle sedie del giardino dove si stava svolgendo il comizio sportivo, scandendo la frase “O Corvino, mio Corvino”, non sarebbe stato strano più di tanto. Per fortuna non è successo. Qualcosa sta cambiando, qualcosa sta per arrivare. La partita sappiamo com’è andata. Perché è una svolta, quindi? Perchè siamo atterrati, di botto, sulla terra. 

Ma la serie A, non era il paradiso? Lo è, ma noi siamo partiti comunque dal gradino più basso e Dante ci insegna che la strada per la gloria è lunga e faticosa. Le partite si possono perdere anche così, e non sarà l’ultima nel corso dell’anno. Abbiamo riassaggiato cosa vuol dire giocare da sfavoriti, cosa alla quale ci eravamo disabituati. Abbiamo scoperto Baschirotto, che le testate giornalistiche nazionali, il giorno dopo, hanno valutato con un ingnobile “5” la sua prima apparizione in serie A (forse loro sono troppo abituati a stare in paradiso) dopo aver fatto toccare a Lukaku un solo pallone in novanta minuti. Abbiamo scoperto lo spirito da combattente di Cessay (all’epoca ancora Cessai), e lì sì che il pensiero è andato a quella frase “Io mi fido del Corvo”. Magari è stata una grande illusione la sua capacità realizzativa, ma lo spirito da guerriero si è sempre visto, e questo non si può negare. Abbiamo capito che, anche se con difficoltà, qualcosa si può fare. Ci ho tenuto tantissimo a vedere quella partita perché, quando vivi fuori, sono poche le occasioni per andare al Via del Mare. Compenso con le trasferte, per fortuna. Dopo il gol dell’Inter mi sono messo a guardare intorno a me. Eccolo, lo sconforto. Gente che scuote la testa, gente che va via. Ho guardato lo stadio, poi ho guardato verso l’alto. Nero, nuvole e pioggia. Poi ho pensato: non è dopo la pioggia che arriva il sereno?

 

ATTO II 

Scarsi: Lecce-Atalanta, 9 Novembre 2022. 

“Prof, lei che squadra tifa”? E’ la domanda che i miei alunni mi fanno sempre, appena ci conosciamo, da quando ho iniziato questo lavoro. Lavorare in una regione come la Lombardia comporta, inesorabilmente, quello di avere come studenti ragazzi che tifano le “strisciate”. Sì, perché non solo Milan e Inter, ma anche la Juve, riscuotono, ovviamente, successo tra i ragazzi. Tantissimi tifano anche il Napoli, sia che le loro origini siano partenopee che no. Lavorando in provincia di Monza, qualcuno si sta avvicinando ai biancorossi, come seconda squadra, per ora. Insomma, un bel calderone. Quindi, quando rispondo come penso abbiate capito, rimangono quasi stupiti nel sentire il nome di una squadra che, nella sua storia, ha vinto poco e niente. Essendo molto giovani non hanno nemmeno memoria degli anni del grande Lecce di Cavasin, Delio Rossi o di Zeman; della salvezza con De Canio; di Chevanton, Vucinic, Cassetti, Stovini, Giacomazzi e potrei citarne tanti altri. 

“Prof, ma il Lecce è scarso”! I boomer potrebbero azzardare l’esilarante battuta: “Spero tu gli metta 4, dopo una frase del genere”. Assolutamente no, nemmeno mi offendo (qualche volta). Dopo aver spiegato , in maniera molto matura e professionale, come le loro squadre, in alcune stagioni, abbiano vinto esattamente niente come il Lecce, gli racconto le partite della mia infanzia e adolescenza. Il cavallo di battaglia è la mia prima partita allo stadio: Lecce - Inter (corsi e ricorsi storici) del campionato 2003/04. Sì, quella che vincemmo in rimonta e ci consentì di salvarci. A volte, mostro loro anche qualche video (vi giuro che nel frattempo lavoro anche). Insomma, rimangono dell’idea che siamo scarsi, ma si appassionano da morire al Lecce. Ed anche i colleghi seguono questo andazzo. In pratica, faccio a tutti una testa tanta. Ho notato una cosa: quando siamo in serie B siamo più simpatici. Forse perché non andiamo a rompere le scatole alle loro squadre, o forse perché gli facciamo pena. Comunque, negli anni, ho avuto frotte di studenti che seguivano il Lecce, sperando nella promozione. 

Nel 2019, pensate, una mia classe scelse come colore delle loro maglie, per il torneo di calcio della scuola, proprio il giallorosso (ho sia la maglia che le foto che provano quanto appena detto). Invece, in serie A, siamo più oggetto di sfottò. Pacifico e scherzoso, eh. Sono ragazzi, come diceva uno. Sta di fatto che ho sempre trasmesso la mia passione, e loro l'hanno sempre recepita. Sanno che vado quasi sempre in trasferta, quindi il lunedì vogliono il resoconto della partita. Dopo tutto questo discorso, perché la partita in casa con l’Atalanta, allora? C’era già stata la prima vittoria stagionale, a Salerno. Perchè non quella? Perchè battere una lombarda, quando lavori qui, ha un sapore diverso. Nulla di personale e nulla contro le squadre di qui. Sono solo piccole soddisfazioni, che credo in tanti che vivono fuori possono capire e condividere. Calcisticamente parlando, sei sempre guardato dall’alto verso il basso. Ma non c’è niente di male. Però, quella rara volta che la vittoria arriva, ha un sapore diverso. Ti fa sentire ancora più vicino a casa, connesso insieme a tanti altri. 

E sei lì, ad esultare come un pazzo, da solo, davanti ad una finestra, per un colpo di testa di Baschirotto e ad agitare ancora più forte le braccia al cielo per il raddoppio di Di Francesco, immaginando di essere lì, in un Via del Mare in estasi, che aspettava da tanto di gioire così fortemente. Ho recuperato, con gli interessi, a Bergamo, insieme ad altri millenovecentonovantanove. E’ una svolta, senza dubbio perché, in questa partita, tutta Italia si è ricordata del Lecce, ed ha capito cos’è il Lecce. Ed è stato ancor più bello, il lunedì, a scuola, sentire: “Prof, è fortissimo il Lecce, allora”. Sì, è fortissimo.

 

ATTO III 

Blu profondo: Empoli - Lecce, 3 Aprile 2023.

Questa parte della storia comincia da un po’ più lontano, qualche mese prima. A metà febbraio siamo fuori dallo stadio di Bergamo, ancora gasati per la vittoria. Galeotta fu la partita e chi la vinse. Siamo nella navetta che ci deve portare al parcheggio del settore ospiti, dalla parte opposta della città. Essendo lunga l’attesa (forse un’ora e mezzo, se ricordo bene) si chiacchiera con conoscenti e non, pensando già alla prossima partita, quella in casa con il Sassuolo. 

Scambio alcune battute con un signore vicino a me. Il tale pronuncia una frase che ho smesso di dimenticare solo dopo Monza: “Con il Sassuolo va bene anche un solo punto, ORMAI SIAMO SALVI”. Io, che di indole preferisco volare basso, lancio il monito: “Il Benevento, qualche anno fa, era nella nostra stessa situazione. Dopo aver vinto con la Juve, non vinse più una partita e retrocesse”. Insomma, sagra della iettatura in quel di Bergamo. Sguardo veloce e ci siamo voltati dalle parti opposte, pensando la stessa cosa probabilmente: “Nel dubbio, mi gratto”. Parlare dopo è facile, però non è che non ci avessi visto lungo. Partite passate a (in questo quasi preciso ordine): sperare, illudersi, sbraitare, cercare su google metodi contro il reflusso gastroesofageo, disperarsi, mettersi su un fianco e piangere. Va bene anche aver fatto solo tre di queste cose. Sarei un ipocrita a dire che non ho pensato all’esonero di Baroni. A parlare, sicuramente, sono incompetenza mia e frustrazione. Fa parte del gioco, purtroppo. Il giorno di Empoli Lecce la mia ragazza Viviana torna a casa dal lavoro, e mi trova davanti al televisore, in piedi, immobile. “Ma non giocava il Lecce alle diciotto e trenta”? Io: “Doveva”. Lei: “Perché doveva? Successo qualcosa”?. “Ha preso fuoco lo spogliatoio, comincia più tardi”. “Ma come ha fatto a prendere fuoco uno spogliatoio”? “Gioca il Lecce, che ti aspettavi”? Sipario. 

Che sia chiaro, lo spogliatoio che prende fuoco non è il motivo della sconfitta. A pensarci ora sa solo di assurdo e grottesco. E per fortuna sa solo di questo. Però, in vita mia, e di partite ne ho viste, non mi era mai capitato di sentire una cosa del genere. Già con una premessa così, come si poteva pretendere di vincere (ma andava bene anche il pareggio) quella gara? All’elenco precedentemente citato va aggiunta una nuova parola: rassegnazione. Perché, credo, dopo Empoli ci siamo sentiti tutti così. Perché è una svolta? Perché ad Empoli abbiamo toccato il punto più basso della nostra stagione, a mio modesto parere. I motivi, che si sappiano o non si sappiano, non importano. È un dato di fatto. Per i numeri del campo, per la testa. C’è una frase che mi piace tanto: “Quando hai toccato il fondo, non puoi far altro che risalire”. Credo di averla sentita in un cartone animato da piccolo. Ne abbiamo toccati di fondi, e non sempre siamo riusciti a tirarcene fuori, nel campo come nella vita. 

Ma già provarci, cercare di andare oltre le proprie possibilità è il passo più importante che possiamo fare per noi stessi. Ed anche una squadra di calcio lo può fare. Quel passo galleggia davanti finché non lo si affonda nel terreno. E ci stava aspettando tutti, qualche settimana dopo.

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